La Repubblica Lunedì 22 Luglio 2019

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Gaetano Balice: "No agli ex magistrati avvocati"

È giunto davvero il momento, a mio avviso, che intervengano le autorità regolatrici competenti a tutela del prestigio dell'Ordine giudiziario e della effettività del diritto di difesa. Un intervento che tenga conto dei principi di inopportunità, incompatibilità e potenziali conflitti di interesse che deflagrano allorquando un magistrato decida - guadagnata la pensione - di buttarsi nell'agone forense proprio lì nella città dove ha esercitato giurisdizione per anni. La mia analisi va ovviamente al di là di questo o quel caso. È paradossale, infatti, che il luogo della autonomia ed indipendenza della giurisdizione, non si sia ancora dotato di codici etici moderni né di regolamentazioni stringenti delle trasmigrazioni e delle interazioni tra il pubblico e il privato. Il tema riguarda anche i parenti stretti dei magistrati che svolgono l'attività forense nello stesso Foro e nello stesso settore del loro congiunto magistrato. Vi sono casi anche a Napoli. Nel processo penale più il conferimento del mandato difensivo è scevro da condizionamenti più la sentenza sarà giusta cioè conseguente al pieno recepimento delle limpide istanze difensive.

Ma la realtà è più complessa. Il cittadino si presenta spaesato dall'avvocato e, sempre più frequentemente, formula la seguente domanda: "Lo conosce il giudice?".
Un disorientamento che scaturisce dalla rappresentazione del sistema giudiziario che, a causa della deformazione mediatica e delle reiterate strumentalizzazioni politiche, appare come il luogo delle clamorose inefficienze e dell'arbitrio autoreferenziale e deresponsabilizzato dei magistrati.

Un luogo dove il mero esercizio dei diritti processuali non appare sufficiente a tutelare il cittadino che matura, suo malgrado, il convincimento di potersi sottrarre al processo (o trarne benefici) solo utilizzando strumenti eterodossi. La domanda, quindi, diventa pleonastica quando il cittadino si rivolge a quei pochi professionisti che, nella loro faretra, possiedono una freccia più appuntita: un oggettivo e non occultabile legame con il mondo giudiziario che consentirebbe di aver qualche chances in più di ascolto sbaragliando così ogni concorrenza.

Essere un ex magistrato che ha lavorato per anni in quel Foro, ovvero annoverare tra i collaboratori del proprio studio professionale figli o nipoti di magistrati che operano o hanno operato in quel settore del Foro rende, appunto, pleonastica quella domanda inficiando, in nuce, il mandato difensivo. Così, nel mondo delle percezioni capovolte, questi professionisti, vittime di un accostamento apodittico, diventano, loro malgrado, i Robin Hood di chi tenta, in tutti i modi, di salvarsi in qualche modo dal processo. La scelta rischia di rivelarsi controproducente.

Nel processo si possono verificare, sottotraccia, situazioni di inopportunità più o meno gravi tali da mettere in difficoltà il giudice che, a causa di pregressi rapporti professionali con l'ex magistrato o con gli affini del praticante avvocato, si senta attinto da un'ombra potenzialmente lesiva della sua indipendenza ed autonomia e sia indotto ad irrigidirsi e trincerarsi nei formalismi se non a respingere, a priori, le istanze della difesa.

Un nocumento per l'imputato il quale, pur avendo dato la stura a questa situazione inopportuna, rischia di ottenere il risultato contrario a quello più o meno maliziosamente auspicato. Ovvero: subire una denegazione di giustizia rispetto a chi avesse scelto l'avvocato professionale e competente, privo di quel legame oggettivo con il mondo giudiziario, peraltro attraversato in questo momento da tensioni e trasformazioni.

L'autore è un avvocato

 

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Gaetano Balice